Twin Peaks 2014. 25 anni dopo...

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vincentwise
view post Posted on 6/1/2011, 19:29




Ho iniziato a scrivere questa mia terza stagione qualche anno fa, mi pare fosse il 2005 o 2006. Nel frattempo ho scritto altri racconti e romanzi perfezionando il mio stile e questo breve scritto è sempre rimasto nel cassetto. Non l'ho mai terminato, per la verità è solo iniziato, ma credo valga la pena proporvelo. A volte basta poco per trovare l'ispirazione e la motivazione...

- Episodio 1-


Il cellulare squillava.
Accanto ad esso, sulla scrivania, un computer acceso mostrava uno dei tanti screensaver del successore del nome in codice Vienna.
«Pronto?» rispose una voce roca, che sembrava rotta nel sonno. Poi alcuni momenti di silenzio.
«Non credo di aver capito» replicò la voce facendosi più affannosa. Seguirono altri secondi durante i quali non fu possibile distinguere nulla dall’altra parte dell’altoparlante a meno di non trovarsi a contatto con esso. Quindi una goccia di sudore lo bagnò.
Il cellulare allora cadde a terra, e la comunicazione venne interrotta.

«Cooper!» gridò il generale.
Le onde rosse adornavano lo spazio dal suolo di zig-zag. Lo circondavano e lo nutrivano, come fosse il suo stesso figlio.
«Cooper!» gridò di nuovo.
Senza una risposta il malcapitato s’aggirava fra le varie stanze, ma era quasi impossibile indovinarne il motivo. Lui lo conosceva bene, perché era stato il Cavallo Bianco a portarlo fin li, ma le parole da sole non sarebbero bastate per spiegarlo.
«Cooper!»
In un’altra stanza il pavimento era disegnato di varie linee di sfumatura rossa, ondulate, adornate tutt’intorno di zig-zag. Che zig-zag era? Sfondava la dimensione del reale come un coltello affonda nella carne, ma la sua consistenza disarmava. Lui però aveva imparato a capirla e d’un tratto si volse a mirarne un lato.
«Cosa ossa sa, vu ooii vuoi da me eee?» gli disse il braccio.
«Cooper!»
«Abbiam abb mo mo impato rato entrtram ambi».
«Cooper!»


«Quando l’agente Cooper risolse il caso io non mi sarei mai aspettato che se ne sarebbe tornato a Washington così rapidamente. Avevamo una marea di lavoro ancora da svolgere, prove da passare al vaglio e pezzi del mosaico da mettere al loro posto. Proprio non so spiegarmi il motivo di quel gesto. Ancora oggi ripenso a quella sua strana luce negli occhi, che non gli apparteneva, o per meglio dire che non avevo mai visto in lui. Windom Earle non si è più visto, questo è vero, e buona parte del male che regnava qui, se n’è sicuramente andata altrove assieme a lui. Margaret Lanterman, lei e il suo ceppo, era l’unica persona, assieme al maggiore Briggs, che potevano condurci a qualche risposta, ma da molti anni, come ben sai si sono chiusi nel loro mondo fatto di fantasia e lavoro. Ma è inutile recriminare ora, i fatti hanno parlato chiaro e non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. A volte però, quando ascolto i gufi nel bosco, rivedo i suoi occhi e mi chiedo cosa stia facendo o dove si trovi. Magari è a risolvere qualche caso in giro per la nazione oppure a godersi la pensione, fattostà, che non credo a nulla di tutto ciò. Teresa Banks è stata solo il punto di partenza, ne sono sempre più convinto, e a dirla tutta credo che nemmeno lui se ne sia mai andato da qui veramente. Forse con il corpo, o con la mente, ma non con lo spirito…»tossì.
«Prendi un goccio d’acqua…».
«Grazie. Dicevo, per me non se n’è mai andato. Ricordi? Diceva che voleva comperarsi una casa per un investimento qui a Twin Peaks! Che io sia dannato se non affermo di averlo visto qualche notte giù, in un angolo buio alla Road House, o nascosto dietro un albero del bosco! Eppure era li, io lo sentivo. Quella casa lui se l’è comprata eccome; non so dove e nemmeno so il perché, ma a Washington lui non ha mai fatto ritorno. Non ha mai smesso di lavorare a questo caso, come nessuno qui in città ha smesso di sapere che Laura Palmer era la chiave. La sua morte ha sconvolto molte persone, molte delle quali non se ne sono mai fatta una ragione. Ma la vera follia di tutto ciò è che non è stata la morte di Laura a sconvolgerle, ma la Morte stessa. Qui si è annidiato il seme del male, oppure, come dice il salmista “Dio non permetterebbe il male se da esso non ne scaturisse un bene maggiore del presente”. Cosa dobbiamo credere secondo te?»
«Non lo so, davvero, non lo so».
«Hai ragione Hawk, hai maledettamente ragione...»
«Avanti Harry dimmi, perché sei venuto da me nel cuore della notte? Non girarci più intorno».
A quella richiesta di gettare la maschera, lo sheriffo Truman alzò lo sguardo per guardare fisso negli occhi il suo vecchio collaboratore Hawk e contorcendosi nelle parole disse:
«Quando ho risposto al cellulare una voce mi ha detto “Sono Cooper, mi riconosci?” e li per li ho pensato ad uno scherzo di cattivo gusto, ma poi la stessa voce mi disse qualcosa che mi squarciò letteralmente ogni pensiero».
«Cosa?».
«E' impossibile Hawk, capisci! Nessuno poteva sapere...»
«Dimmi Herry! Per la miseria, cosa ti ha detto!»
«“Solo dopo essermi lavato i denti, ho capito cosa dovevo fare”» sentenziò lo sceriffo vedendo l'altro impallidire quasi all'istante.


L’ufficio di Benjamin Horne era rimasto lo stesso di venticinque anni prima. Sulla scrivania ora però compariva il nome Audrey intagliato in un legno di quercia. Ad un tratto la porta a doppia anta si aprì lasciando entrare la sua segretaria personale, Arabella Tyler.
«Signora Horne, ho un messaggio per lei da parte dello sheriffo Truman» disse e le porse un biglietto contenente il messaggio. Anche dopo essersi sposata con John Justice Wheeler eveva continuato a farsi chiamare signora Horne, perché diceva che l’impresa di famiglia avrebbe dovuto mantenere sempre quel nome. Jonh evidentemente aveva mantenuto la promessa, e da allora molte cose avevano cominciato ad andare per il verso giusto. In un paese sbagliato come Twin Peaks, di persone sbagliate come a Twin Peaks, anche nella virgola della popolazione del cartello di benvenuto che l’aumentava di quarantacinquemila unità, lei era riuscita a trovare la serenità. Questo anche, e sopratuttutto, dopo la verità sul conto di Donna Hayward. A quel tempo, Donna, era convinta di essere la figlia segreta di Benjamin Horne, sua sorellastra per l’appunto, ma la verità era distante anni luce. L’improvvisa pazzia di Benjamin, e il suo conseguente cambio radicale di vita votato al bene e non più al male, erano state le cause scatenanti di tutto. Ma se il Dottor Jakoby trovò interessante e fruttuoso da un punto di vista terapeutico tale rivoluzionamento interno, in grado di risistemare nel profondo una coscienza umana, tale non fu per la famiglia Hayward. Ben aveva avuto tutte le opportune titubanze del caso, ed Eileen, la madre di Donna, tutte le ragioni per non volerne parlare. Tutte quelle lettere, quei baci non dati e quelle attenzioni, nascondevano sicuramente qualcosa, ma non quello che tutti si aspettavano, men che meno il Dottor William, anch’egli persuaso della verità della figlia. Audrey invece ebbe modo di ascoltare il racconto di suo padre, una volta ricoverato all’ospedale per la ferita riportata alla testa dopo essere stato colpito con l’attizzatoio. Come accadde per il One Eye jack’s, Ben fu sincero. E la sincerità lo ripagò.
Audrey aprì il messaggio e subito si chiese perché Harry avesse preferito mandarglielo in formato cartaceo anziché via e-mail. Poi lesse attentamente quelle poche parole, e capì tutto.


Leo Jonsons, girandosi di scatto, sorprese Evelyn Freeman mentre rientrava dal lavoro.
«Mi hai messo paura!» disse lei riponendo il cappotto sull’appendiabiti a fianco la porta.
«Ogni tanto il mio istinto ha il sopravvento, non posso farne a meno» le rispose offrendole un bel sorriso, quindi le andò incontro e la baciò teneramente su una guancia. Per quanto fosse cambiato negli ultimi anni della sua vita, era e rimaneva un lupo solitario, sempre in agguato ad ogni minimo sospetto.
«Com’è andata al lavoro oggi?» gli chiese mentre ancora la teneva stretta a se.
«Come al solito, nulla di nuovo… e tu in officina?»
«Sto sempre dietro a quel dodici cilindri che non ne vuole sapere di ripartire. Per oggi ho deciso di dargliela vinta ma domani ci troverò il dritto, puoi scommetterci!»


..........
 
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marcostraz
view post Posted on 11/1/2011, 16:52




Diciamo che ci sono diversi spunti da cui partire per sviluppare eventuali nuove situazioni...
 
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vincentwise
view post Posted on 11/1/2011, 18:24




Grazie per il feed.
Il problema più grosso per me è il tempo. Non tanto quello per scrivere piuttosto quello per inquadrare bene tutta la vicenda. Ora mi sto rivedendo la serie completa del pacchetto gold. Solo così, rivedendo e rivedendo si può riuscire a scrivere un sequel con cognizione di causa. In quello che avevo pensato l'ambientazione è ai giorni nostri e portare tutto su questa nuova realtà richiede un passaggio, secondo me, a dei colpi di scena enormi che contemporaneamente devono essere credibili e in linea con la storia. Vediamo se riesco a proseguire e riallacciarmi con le idee che avevo.
Ciao!!

Per non parlare del fatto che scrivere nello stile romanzo non è lo stesso di una scenografia....:-)
 
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viale marx
view post Posted on 8/7/2011, 09:14




CITAZIONE (vincentwise @ 11/1/2011, 19:24) 
Grazie per il feed.
Il problema più grosso per me è il tempo. Non tanto quello per scrivere piuttosto quello per inquadrare bene tutta la vicenda. Ora mi sto rivedendo la serie completa del pacchetto gold. Solo così, rivedendo e rivedendo si può riuscire a scrivere un sequel con cognizione di causa. In quello che avevo pensato l'ambientazione è ai giorni nostri e portare tutto su questa nuova realtà richiede un passaggio, secondo me, a dei colpi di scena enormi che contemporaneamente devono essere credibili e in linea con la storia. Vediamo se riesco a proseguire e riallacciarmi con le idee che avevo.
Ciao!!

Per non parlare del fatto che scrivere nello stile romanzo non è lo stesso di una scenografia....:-)

assolutamente d'accordo.deve essere credibile..e non è semplice.
 
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3 replies since 6/1/2011, 19:29   121 views
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